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Lucinasco e il Monte Acquarone

Lucinasco

Come siamo soliti fare quando abbiamo poche idee sulle mete da raggiungere, apriamo Google Maps e cominciamo ad effettuare semplici ricerche visive; funzionalmente al nostro progetto, circoscritto per area, in ogni numero cerchiamo di proporre sempre nuovi percorsi ed insolite esperienze. Quest'oggi ci siamo letteralmente fatti incuriosire da un comune che non avevamo nemmeno mai sentito nominare, ovvero Lucinasco. Il toponimo di questa località trova radici nel Basso Medioevo, a cavallo dei secoli XIV-XV, nella forma Lexenasco o Lesinasco, rendendo plausibile la sua origine latina accostando al termine vicinus il suffisso -asco, di chiara origine ligure (es. rivierasco).
Oggi come allora a Lucinasco vi sono più ulivi che persone, e la sua fiorente vocazione agricola sembra essere immutata nel tempo. Addentrarsi in questa valle, la Valle Impero, vuol dire immergersi nel più vero e rurale entroterra ligure, quello che si raggiunge solamente affrontando un susseguirsi di tornanti attorniati da lunghissimi muretti di contenimento "a secco" e strapiombi poco protetti verso valle. Di tanto in tanto, tra le fronde degli ulivi che capeggiano i terrazzamenti, si scorge il mare e piccoli nuclei abitati capaci di armonizzare il territorio.
Arrivare in paese significa varcare un territorio sapientemente recuperato, mantenuto, ben curato, dove si può respirare autenticità contadina.
L’abitato principale si sviluppa su una lunga e stretta lingua collinare, ai piedi del castello appartenuto ai Signori di Ventimiglia, e nelle bellissime fattezze delle chiesa intitolata a Sant’Antonino e al prospiciente oratorio di San Giovanni Battista, dove una splendida meridiana ne adorna il lato esposto a sud.
Proprio presso l’oratorio vi è la sede di un museo di arte sacra che ospita opere di rilievo come il "Compianto del Cristo Morto", una scultura lignea, di autore ignoto, che raffigura la passione di Gesù, risalente a fine 1400.
Per farvi capire cosa sono in grado di celare i piccoli, minuscoli a volte, borghi liguri, vi sveliamo che al mondo esiste solamente un'altra opera simile a questa e si trova presso Castel Sant’Angelo a Roma. Il museo è dedicato a Lazzaro Aquarone, un commerciate di stoffe attivo tra il Cinquecento e il Seicento a Genova, originario proprio di Lucinasco. Per diletto si cimentò nella scultura e a lui sono attribuite moltissime statue mariane presenti nelle chiese dell'entroterra imperiese. Alla sua memoria sono intitolate altre sedi museali che raccontano la civiltà contadina del XIX secolo, attraverso la sapiente disposizione di utensili, arredi e cimeli e ancora un esemplare molto ben conservato di frantoio cosiddetto "a sangue”, ovvero a trazione animale. Il concetto di “museo diffuso” - coniato dall'architetto milanese Fredi Drugman negli anni Settanta – intende esprimere al meglio lo stretto rapporto che intercorre fra il territorio e il patrimonio conservato nei suoi piccoli musei.
La nostra esplorazione del borgo prosegue lungo la via cittadina, via Roma, e ancora per via Cesare Battisti, per poi dirigerci in direzione Vasia, proseguendo poi in auto sulla Strada Provinciale 30.
Raggiunto uno spazio sterrato, nei pressi del cimitero comunale, ci ritroviamo davanti una location davvero unica e suggestiva: il laghetto di Lucinasco.
Proprio in quest'area sorge la gotico-romanica chiesa di Santo Stefano, edificata nel 1437; l'ex parrocchiale del borgo sorge al centro di un'area verde, capeggiata da un piccolo laghetto attorniato da castagni e rigogliosi salici piangenti.
Tra i colori verdognoli delle acque, spuntano curiose alcune tartarughe, qualche ranocchia e una miriade di girini.La cosa più curiosa di questo edificio la si può trovare nell'architrave: su di esso sono incisi gli stemmi dei Ventimiglia (aquila), dei Doria (scudo barrato) e dei Savoia (leone), probabilmente per tenersi buone tutte le dinastie più potenti dell'epoca! La chiesa, al nostro passaggio, risulta chiusa e ammirabile solamente attraverso le due piccole finestre laterali, dotate di griglie ed inferiate; l'interno, molto semplice e spoglio, presenta due cappelle semicircolari dedicate alla Madonna del Carmine e alla Madonna del Rosario ed un presbiterio sormontato da pregevoli stucchi color bianco e oro, in forte risalto rispetto al pavimento in ardesia.
Superata la chiesetta sussidiaria, iniziamo la vera e propria trekkinata sulla strada asfaltata che si snoda in direzione opposta rispetto a quella che conduce al comune di Vasia, ignorando il bivio a sinistra e iniziando a risalire il crinale di mezza costa fiancheggiamo un vigneto privato.
Impiegheremo quasi un'ora buona di cammino prima di raggiungere quota 735 mt slm, dove, tranne in un paio di eccezioni, stabiliremo la massima altezza del nostro percorso. Lungo l'avvicinamento al sentiero vero e proprio, segnaliamo solo un paio di biforcazioni senza sbocco sulla sinistra. L'asfaltata, tortuosa e sinuosa, ricalca sommariamente una via di comunicazione pressoché desueta e dimenticata, ombrosa e attorniata dalla più comune macchia mediterranea; in queste zone gli ulivi hanno abbandonato completamente la scena.
Dopo 2,5 km di cammino si apre dinnanzi a noi uno slargo terroso da dove poter godere di gran parte del panorama che si dilunga sulla Valle Impero; proprio qui, alle nostre spalle, inizia il sentiero della Via Marenca.
La Via Marenca, nata fra Liguria e Piemonte in tempi antichi, è una strada storica che parte dal comune di Limone Piemonte ed arriva sino a Ventimiglia, per una lunghezza complessiva di oltre 100 km.
Letteralmente il suo nome significa "via che porta al mare" assumendo, sin dal momento della sua istituzione, un importante ruolo di collegamento, non solo italiano ma anche transalpino, tra l’entroterra ed il mare.
Inserita nelle più conosciute "Vie del Sale", proprio tramite il reticolato dei suoi sentieri avveniva il trasporto di molte merci, inclusi vari tipi di generi alimentari come l'olio, formaggi e frutta, ovviamente il sale, vari tipi di pesci tra cui le acciughe. Fate presente che uno dei piatti tipici del basso Piemonte è la bagna càuda, che ha come ingrediente principale proprio le acciughe salate.
I commerci al tempo avvenivano a dorso di mulo o con piccoli carri che potevano trasportare botti e barili; inutile dire che si diffuse ben presto anche la pratica del contrabbando, nascondendo tra doppi fondi e reparti nascosti, preziose materie prime soggette a dazi e tasse.La via pianeggiante che percorriamo fissa il nostro giro di boa presso il comparto settentrionale del Monte Acquarone (mt 733).
La zona prativa è molto bella e suggestiva, arbusti bassi e pregevolissimi scorci sulla zona circostante, si aprono verso il mare, adombrati dal Monte Faudo ed il Monte Grande. La Via Marenca taglia così di netto tutta la cresta, tra numerosi saliscendi poco impegnativi, obbligandoci a passare per le sommità del Monte dei Prati (mt 784) ed il Pizzo Binelli.
Su quest'ultimo picco, una scritta su un piloncino di pietre ci ricorda la quota raggiunta di mt 737.
La nostra discesa prosegue verso est, dove la traccia dell'area prativa lascia il posto ad un sassoso sentiero che attraversa un piccolo boschetto composta da roverelle. Davanti a noi, ad un certo punto, la bianca sagoma della chiesetta della Madonna dell’Acquarone preannuncia la provinciale che dovremo seguire per ritornare al punto di partenza del nostro itinerario.
Posta sull'omonimo valico a quota mt 681, la cappelletta campestre è costituita da un ampio portico dove un bassorilievo in ardesia riporta il trigramma IHS.
All’interno si conserva una statua marmorea della Madonna, opera del già menzionato Lazzaro Acquarone, facendo rientrare anche questo edificio nella serie dei musei diffusi di Lucinasco. Scattate alcune foto riprendiamo il cammino attraverso un tragitto speculare a quello dell'ascesa che ci terrà impegnati per quasi 50 minuti fino a raggiungere nuovamente il laghetto e la nostra auto.

Percorso in numeri

h 2:30

Percorrenza

8,40 Km

Durata Percorso

290 mt

Dislivello

Gallery Percorso

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